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« inserita:: Dicembre 20, 2008, 12:56:30 pm » |
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Venerdì 19 Dicembre 2008
Negli ultimi trent’anni tra Trieste e Monfalcone l’amianto ha ucciso 1800 operai e tecnici. Novecento in provincia di Gorizia, altrettanti in quella di Trieste. Ogni dodici mesi, per ognuno di questi trent’anni, sono morte sessanta persone perché il mesotelioma pleurico non perdona quasi mai e costringe alla resa in tempi brevissimi: un anno al massimo. Nel futuro immediato il numero dei morti per amianto è destinato a salire ancora, almeno fino al 2015-2018.
Sono questi i dati agghiaccianti e del tutto nuovi emersi ieri nell’incontro voluto dal procuratore generale di Trieste Beniamino Deidda. A lui va ascritto il grande merito di aver concluso in meno di sei mesi l’inchiesta sulla morte di 42 operai del cantiere di Monfalcone, uccisi dal mesotelioma pleurico tra il 1965 e il 1985. Per 15 dirigenti e manager dell’Italcantieri è imminente la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo plurimo. A Gorizia l’indagine aveva segnato il passo, tant è che il procuratore generale l’ha avocata a se, trasferendola a Trieste. «Un’altra indagine su altri 21 decessi di operai che hanno avuto contatti prolungati con l’amianto, si concluderà nei prossimi giorni, probabilmente entro Natale» ha annunciato ieri il magistrato. Anche in questo caso l’inchiesta coinvolge il Monfalconese e il territorio della provincia di Gorizia.
Beniamino Deidda ha poi affermato che la Procura generale di Trieste non avocherà a sè altre indagini su questa strage collegata all’attività dei cantieri navali e dei porti. «A Gorizia il nuovo procuratore della Repubblica Caterina Aiello perseguirà con grande energia questi reati. Ne sono certo. Per questo motivo non ci saranno altre avocazioni a Trieste. L’inadeguatezza degli organici della Procura di Gorizia non basta comunque a spiegare i grandi ritardi accumulati dalle inchieste per le morti da amianto. In tutta Italia le difficoltà frenano i processi in cui si deve discutere di malattie professionali e delle responsabilità di chi le ha provocate. Spesso questi dibattimenti nemmeno si fanno per l’e norme difficoltà ad indagare su fatti avvenuti almeno trent’anni fa. E’ difficile per ogni inquirente rintracciare i testimoni, trovare compagni di lavoro ormai anziani, reperire la documentazione dei lavori effettuati da società spesso scomparse dal mercato».
L’inchiesta sul cantiere di Monfalcone, appena conclusa a Trieste, è stata risolta in sei mesi grazie a un pool di investigatori che il procuratore generale ha riunito attorno a sè. E’ la prima task force giudiziaria- scientifica che a livello italiano si occupa di morti da amianto. Per il momento unicamente del mesotelioma pleurico. Vi fanno parte tre medici del lavoro: Valentino Patussi, Donatella Calligaro e Anna Muran, tutti con ruoli diversi nel Servizio di prevenzione dell’Azienda sanitaria di Trieste; l’i ngegner Umberto Laureni, già presidente della Commissione regionale amianto e il luogotenente dei carabinieri Carmelo Genovese. Tre i consulenti: l’ingegnere fiorentino Stefano Silvestri, esperto in igiene industriale, il medico del lavoro dell’Università di Brescia Gino Barbieri ed Enzo Merler, anch’egli medico e gestore a Padova del registro italiano del mesotelioma pleurico.
«Per indagare sulle morti da amianto non è sufficiente il lavoro di un magistrato» ha affermato il procuratore generale Beniamino Deidda. «Pochissimi pm sanno destreggiarsi in questa materia. E’ un’ illusione potercela fare da soli, senza una specifica formazione. A Trieste abbiamo compiuto un salto di qualità perché il Consiglio superiore della magistratura ha organizzato per la prima volta corsi di preparazione su questi problemi e giudici e addetti alla prevenzione si sono seduti gli uni accanto agli altri sugli stessi banchi. E’ la prima volta che accade...».
Le due inchieste che la Procura generale ha quasi concluso non si sono limitate a coinvolgere come indagati i rappresentanti legali delle società in cui era stato usato l’amianto. Sono state individuate anche le eventuali responsabilità penali dei vari funzionari che avevano un ruolo nella «catena di comando» o meglio nella scala gerarchica del cantiere. Per questo motivo sono stati coinvolti i vertici degli degli uffici che avevano acquistato l’a mianto, chi ne aveva ordinato l’uso, chi non aveva fornito agli operai le maschere di protezione per le polveri in base a quanto stabiliva il Decreto 303 del 1956.Non c’è un vuoto normativo in Italia» ha affermato il procuratore generale. «Esiste da più di mezzo secolo il DPR 303 dove non si parla di mesotelioma pleurico, ma si indicano con precisione alle aziende come devono essere protetti i singoli lavoratori dai fumi, dalle polveri e dalle emissioni nocive».
All’articolo 26 si legge infatti che «il datore di lavoro fornisce ai dipendenti, prima che essi siano adibiti all’attività, informazioni sui rischi per la salute dovuti all’esposizione alla polvere proveniente dall’amianto e da materiali contenenti amianto, le norme igieniche da osservare; le modalità di pulitura e di uso degli indumenti protettivi e dei mezzi individuali di protezione, le misure di precauzione da prendere per ridurre al minimo l’e sposizione».
Viene da chiedersi se queste informazioni sono state sempre fornite dalle aziende agli operai e ai tecnici che lavoravano con l’ amianto. La risposta viene dalle cifre della strage: 1800 morti in trent’anni tra Trieste e Monfalcone. Tutti uccisi dal mesotelioma pleurico
Fonte: adige.tv
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