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continua)Medicalizzazione della vitaLa seconda relazione dal titolo “Medicalizzazione della vita e comunicazione sanitaria” è stata tenuta dal prof. Domenighetti, docente in due università svizzere (Losanna e Lugano) e responsabile per oltre tre decadi della Sanità del Ticino.
Il professore ha dichiarato che oggigiorno assistiamo ad una dinamica che mira a trasformare i sani in ammalati. Questo processo, significativamente fondato sulla comunicazione, sul marketing e sui conflitti di interesse, è promosso e sostenuto, direttamente o indirettamente, dai produttori di tecnologia medico-sanitaria, cioè dalle lobbies del farmaco. La “costruzione sociale” delle malattie, secondo Domenighetti, sta per essere sostituita da quella “industriale”. Ciò si concretizza tramite un’espansione su tre livelli del dominio della Medicina:
- Piano quantitativo à ridefinizione e abbassamento dei limiti soglia che definiscono e differenziano il “patologico” dal “sano”. Per esempio, sono stati ridotti i valori massimi considerati accettabili di colesterolo, trigliceridi, pressione arteriosa, ecc. Fino a giugno 2003 il valore oltre il quale si considerava patologica la trigliceridemia era fissato a 2.3 e da luglio è sceso a 1.7! Nello stesso arco di tempo, il valore oltre il quale si considerava patologica la colesterolemia LDL è passato da 3 mmol a 2.6 mmol. Con queste nuove direttive, milioni di persone sane sono diventate immediatamente malate, e quindi potenziali clienti delle aziende farmaceutiche.
- Piano temporale à promozione della diagnosi precoce: screening.
- Piano qualitativo à definizione di “nuove” malattie, osteoporosi, sindrome premestruale, ecc.
Per far comprendere il quadro generale degli screening, Domenighetti ha riportato uno degli esempi più interessanti e illuminanti: quello delle autopsie eseguite in Svizzera.
Esami autoptici eseguiti su migliaia di persone sane morte non per malattia (per es. incidenti stradali) hanno rivelato:
- Il 38% delle donne (tra i 40 e 50 anni) era portatrice di tumori al seno (carcinoma in situ, cioè uno stadio che probabilmente non sarebbe mai evoluto in cancro conclamato).
- Il 48% degli uomini (sopra i 50 anni) era portatrice di tumori alla prostata.
- Il 100% di uomini e donne (sopra i 50 anni) presentava un tumore alla tiroide.
Pochi conosceranno simili dati, ma basta parlare con un qualsiasi patologo intellettualmente onesto per comprendere come questo sia la “normalità”: moltissime persone sane hanno tumori, ma non sanno di averli e quindi vivono normalmente. Il nostro corpo, infatti, produce ogni giorno migliaia di cellule tumorali. Ogni santo giorno per tutti i giorni della nostra vita.
Queste cellule, se il sistema immunitario è forte e sano (grazie ad un buon lavoro della nostra Vis Medicratix Naturae, la forza di risanamento e autoguarigione), verranno fagocitate e distrutte.
Ma se il nostro sistema difensivo non funziona correttamente (per un qualsiasi motivo: emozionale, psicologico, carenziale, tossicologico, ecc.) queste cellule avranno la possibilità di organizzarsi, crescendo e formando masse tumorali. Anche in questo caso, però, è possibilissimo che tali masse tumorali possano restare localizzate (tumore in situ) anche per decenni o per tutta la vita senza recare alcun fastidio o danno.
A questo punto immaginate qualcuno – dice Domenighetti - che “inventa una macchinetta che ve la passa davanti alla tiroide e che poi vi dice: ‘… Ah tu hai un carcinoma in situ alla tiroide’ …
Non si morirà di tumore perché questo è in situ, ma pensate al trauma psico-emozionale che vivrà quella persona che si sente fare quella diagnosi …
Qui entrano in gioco gli esami diagnostici preventivi (che di prevenzione non hanno nulla, perché al massimo possono essere definite diagnosi precoci): i cosiddetti screening di massa, con i quali si invitano persone oggettivamente sane a cercare qualche piccola anomalia (chi non le ha?) che magari non ha alcun significato patologico (ma che viene ugualmente tolta chirurgicamente con conseguente stress, spese, medicalizzazioni e continui futuri esami laboratoristici) o che si trova in stadio latente e che potrebbe restare tale per anni. Cioè, stanno cercando il malato nel sano e tale “ricerca” è sempre più anticipata nel tempo.
Sfatiamo subito uno dei miti sullo screening: non riduce assolutamente la mortalità per tumore, ma aumenta le diagnosi, cioè aumenta il numero dei tumori scoperti, anche quelli tranquilli e non pericolosi (in situ), senza modificare la curva della mortalità (non è stata evidenziata alcuna differenza tra quelli che si sottopongono a screening e quelli che li evitano).
Però, una volta diagnosticato un tumore, le persone sono psicologicamente e/o emozionalmente in grado di superare tale “nefasta” diagnosi? Vivranno come prima, oppure la loro vita cambierà drasticamente?
Oggi il numero dei tumori diagnosticati è in perenne crescita (in Italia, i nuovi casi di tumore sono stati 250.000 nel 2002 e 270.000 nel 2005; fonte Istat) e certamente una delle cause sono proprio la massificazione degli screening.
Ed ecco la Legge aurea di Big Pharma:
più esami diagnostici dà più tumori tra la popolazione
più tumori dà più soldi alle lobbies
Più questi esami diventeranno precisi e più tumori scopriranno per il motivo detto sopra: produciamo ogni giorno migliaia di cellule tumorali e di queste, la quasi totalità viene distrutta subito ma qualcuna può sfuggire e dare origine a qualche piccolo agglomerato cellulare che viene identificato come un nodulino tumorale. Si pensi solo alla frontiera degli esami attraverso il DNA: con un semplice prelievo del sangue si è in grado di diagnosticare ad un bambino appena nato, o addirittura ad un feto in grembo, la predisposizione al cancro o ad altre patologie. “Predisposizione”, che possiamo dire assurda e ridicola visto che il dogma fondamentale del determinismo genetico è crollato definitivamente con lo studio del Genoma umano (vedi articolo). L’epigenetica (“oltre/sopra la genetica”) afferma da decenni che “non siamo schiavi dei nostri geni”, perché “i geni dipendono dall’ambiente” (interno ed esterno). I geni possono modificarsi in base al nostro modo di pensare e alimentarci, allo stress ambientale o all’ambiente familiare, al credo religioso, allo stato sociale, ecc.
Ecco la medicalizzazione della vita: ancora prima di nascere siamo malati e destinati a manifestare quella malattia!
D’altronde, una persona sana viene considerata una persona malata che non sa di esserlo e le lobbies del farmaco si premurano di ricordarcelo in ogni momento. Questa strategia ha lo scopo di spegnere le speranze e le prospettive di una vita migliore; significa creare le condizioni mentali ed emozionali affinché proprio quella patologia si sviluppi. Pensare continuamente al cancro solo perché qualcuno ci ha detto che siamo “predisposti” geneticamente, significa vivere costantemente nella paura della malattia e della morte. Come sarà la nostra esistenza?
La campagna di disinformazione e medicalizzazione di massa è così ben avanzata che oggi l’80% delle donne italiane (e moltissimi medici) pensano che gli screening mammografici “riducano il rischio” di ammalarsi. Sono dati ufficiali, purtroppo. “Ridurre il rischio di ammalarsi” significa che più mammografie (o esami del PSA per la prostata) facciamo e più “evitiamo il rischio” che ci venga un tumore! Totale ignoranza, cioè non conoscenza specifica della materia, perché lo screening NON riduce assolutamente il rischio di ammalarsi, ma scopre prima nel tempo un tumore. Tutto qua. Evitare di ammalarsi, cioè la vera prevenzione, è tutta un’altra cosa. Questa disinformazione è pura propaganda ufficiale veicolata dalle potentissime e sconosciute agenzie di Pubbliche Relazioni (agenzie di PR) che pagano miliardi a testimonial famosi (noti oncologi, personalità dello spettacolo, giornalisti, ecc.) e inviano centinaia di articoli, redazionali a tutte le testate giornaliste del mondo. Domenighetti definisce la diagnosi precoce “una gabbia logica”, e ne spiega il motivo. Se ho fatto l’esame ed è positivo, ho fatto bene a farlo perché ho trovato un qualcosa che posso curare prima. Se l’esame è negativo, comunque ho fatto bene a farlo perché so di non avere il cancro. Se non faccio l’esame e insorge la malattia, ho fatto male a non farlo prima. In ogni caso la cosa giusta è sempre quella di sottoporsi allo screening. E infatti, se chiediamo al medico un consiglio, ovviamente dirà di fare gli screening perché minimizza il rischio di aver dato un consiglio sbagliato. Nel dubbio, il medico dice quello che dicono tutti, così non avrà problemi legali e non rischierà nulla. Quelli che rischiano semmai siamo sempre e solo noi. Concludo con un titolo emblematico pubblicato dal New York Times nel 2007: “Quello che ci fa ammalare è un’epidemia di diagnosi” (New York Times, 2007) “Epidemia di diagnosi”, per la quale però, non esiste alcun vaccino …… Se non quello della presa di coscienza, chiamata piena consapevolezza.
Ringrazio la Scuola di Medicina Omeopatica di Verona (
http://www.omeopatia.org/) per avermi invitato al Congresso, dandomi da una parte l'opportunità di ascoltare due grandi personaggi e dall'altra di condividere con tutti i lettori le informazioni ascoltate.
Marcello PamioFonte:
italoeuropeo.it