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« inserita:: Ottobre 08, 2008, 06:16:08 pm » |
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08.10.2008 - di Francesco Di Cosmo
Con la radioattività non si scherza. Ne sapevano qualcosa i primi fisici che all'inizio del secolo scorso provarono sulla propria pelle che cosa voleva dire essere sottoposti alle radiazioni degli elementi che si iniziava a studiare proprio in quegli anni.
Nella filiera nucleare si ha ovviamente a che fare con molte radiazioni, e non soltanto quando avvengono degli incidenti. «La centrale è uno degli elementi fondamentali del ciclo del combustibile nucleare, ma non è l'unico - afferma » Giuseppe Onufrio, direttore del settore Campagne di Greenpeace -.
Emissioni di radioattività si producono dalla culla alla tomba e cioè dalla miniera al ritrattamento del combustibile, certamente la fase più sporca, e anche dai depositi di scorie. Le emissioni radioattive in atmosfera da una centrale sono prevalentemente costituite da isotopi radioattivi di gas nobili come lo Xeno e il Krypton e quelle in acqua dal trizio e possono variare abbastanza da impianto a impianto e da anno ad anno.
Le dosi annuali per i gruppi più esposti della popolazione, come riportate dalle statistiche ufficiali, possono variare da frazioni minime della dose massima ammessa a quote più elevate ma generalmente al di sotto dei limiti.
Va però ricordato che non esiste una soglia al di sotto della quale si è a rischio zero. A differenza di quello che si sente comunemente dire, una centrale nucleare in condizioni di funzionamento normale produce quindi un inquinamento ambientale da radiazioni, che possono essere assunte dai lavoratori e da chi vive nelle vicinanze.
Ma queste persone quanto rischiano? «La ICRP (lnternational Commission on Radiological Protection) è la Commissione creata nel 1928 che detta le raccomandazioni e le normative in merito - afferma Gianni Mattioli, professore di Fisica Matematica all'Università La Sapienza di Roma e storico esponente del movimento ambientalista -.
Essa definisce il significato di dose massima ammissibile non come la dose al di sotto della quale non si corre nessun pericolo, ma come la dose di radiazioni per cui i rischi per la salute umana (tumori, leucemie, danni genetici) si ritengono compatibili coi benefici economici. Ciò significa che alla dose massima ammissibile si viene esposti a un certo tasso di rischio. Si calcola che ogni 10.000 lavoratori del settore nucleare ci siano in media 10 morti l'anno dovute alle radiazioni, quindi 300 morti in 30 anni di attività prosegue Mattioli -. Se pensiamo alla Fiat degli anni d'oro, quando contava ben 80.000 lavoratori, questo avrebbe significato 80 morti l'anno: si sarebbe chiesto a gran voce di chiudere quelle fabbriche. Non possiamo che esprimere il nostro stupore per il fatto che oggi, in un momento storico in cui in Italia si riparla di nucleare, questi temi siano completamente scomparsi - conclude Mattioli -. Sono scandalizzato soprattutto dal fatto che un medico di prestigio come Umberto Veronesi quando parla di nucleare non ne faccia cenno.»
Fonte: capitanata.it
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