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Autore Discussione: Veronesi: in Italia bisogna costruire 10 centrali nucleari in 190 anni  (Letto 218 volte)
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« inserita:: Luglio 03, 2008, 12:26:01 am »

18/07/07

Il partito dell'energia atomica in Italia

MILANO (17 luglio) - Il nucleare torna a far paura. Dopo il terremoto di ieri nella provincia giapponese di Kiigata e l'incendio alla centrale atomica di Kashiwazaki-Kariwadi, che ha provocato una fuga radioattiva, i timori sulla sicurezza delle centrali atomiche tornano in primo piano.

In Italia l'energia atomica è stata bandita dopo un referendum nel 1987, svoltosi sull'onda emotiva del terrore scatenato dall'incidente alla centrale ucraina di Chernobyl (allora in Unione sovietica) nell'aprile dell'anno prima. Nonostante il divieto di costruire nuove centrali, il partito del nucleare in Italia continua però ad avere molti simpatizzanti.

Favorevoli sono ovviamente le aziende, a partire da Enel - che ha recentemente lanciato una offerta per acquisire un impianto nucleare da realizzare in Bulgaria - e Edison, secondo gruppo elettrico del paese, controllato da una delle potenze mondiali dell'energia atomica, la francese Edf. La Edison si è detta più volte pronta a entrare nel business se ci sarà un ripensamento del governo. «Non c'è altra strada», assicura l'amministratore delegato del gruppo, Umberto Quadrino, se vogliamo ridurre le emissioni inquinanti. Sì convinto anche dalla Confindustria. Il vice presidente Emma Marcegaglia ha ribadito più volte ultimamente che l'Italia deve puntare su tutte le fonti energetiche, atomo compreso.

Ma i nuclearisti convinti sono parecchia anche fra politici e scienziati. L'ex ministro della Sanità Umberto Veronesi ha affermato nei mesi scorsi che in Italia bisogna costruire dieci centrali nucleari in 190 anni. An ha riunito recentemente a Brescia economisti e politici per chiedere di rivedere in modo radicale il modello energetico italiano, tornando a puntare sul nucleare. Secondo il partito di Gianfranco Fini - che ha già messo a punto una proposta di legge in 14 articoli che prevede anche incentivi ai residenti nei comuni che ospitano gli impianti - quella del nucleare è infatti una scelta obbligata per ridurre la dipendenza del Paese dal petrolio, abbassare il costo dell'energia per le imprese e ridurre le emissioni inquinanti come richiesto dal protocollo di Kyoto.

Il governo di Romano Prodi comunque non ha alcuna intenzione di riaprire il capitolo nucleare. E a sinistra, con i Verdi in testa, sono in tanti a essere ferocemente contrari all'ipotesi. Ma ci sono anche no meno radicali e posizioni più possibiliste. Massimo D'Alema, vicepremier e ministro degli Esteri, lo scorso febbraio ha “sdoganato” carbone e nucleare dicendo: «La nuova politica energetica europea non può fondarsi solo sul gas» ed è necessario «sfruttare le migliori tecnologie per l'utilizzo del carbone pulito e poi, in quei paesi che ne hanno sostenuto lo sviluppo, utilizzare anche la tecnologia nucleare». Non proprio un sì al nucleare, ma comunque una richiesta di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico per garantire la sicurezza del sistema italiano ch era bastata a far insorgere la sinistra radicale.

«Sarebbe sbagliato e autolesionistico non continuare a investire in modo sufficiente per tenere aperto il filone nucleare che resta un'opzione che non possiamo scartare a priori», ha detto invece nell'aprile scorso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Fabio Gobbo, sottolineando che «non è possibile abbandonare la ricerca sul nucleare. È un'opzione che non può essere cancellata a priori». Anche perché, ha concluso, «la tecnologia si evolve e ci auguriamo che ci possa essere qualche sorpresa positiva su questo fronte».

Fonte: ilmessaggero.it
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