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Autore Discussione: Un enzima «detector» anti inquinamento  (Letto 199 volte)
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« inserita:: Marzo 17, 2009, 02:22:01 pm »

15/03/09

di DANIELA PASTORE

Un «enzima detector» capace di smascherare la presenza di metalli pesanti, idrocarburi, diossina ed altri inquinanti presenti nell’ambiente.

Il nuovo marker-biologico è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori guidati dal professor Trifone Schettino, fisiologo nel corso di laurea in Scienze e tecnologie biologiche ed ambientali dell’Università del Salento. Tre anni di studio, assieme alle biologhe Maria Giulia Lionetto ed Elisa Erroi, hanno portato ad un brevetto che potrebbe avere delle implicazioni sorprendenti.

«L’idea è quella di utilizzare un particolare tipo di enzima, l’anidrasi carbonica, capace di verificare le concentrazioni di metalli pesanti, diossina ed altre sostanze tossiche presenti nelle acque, nei terreni, negli scarichi industriali, nelle acque reflue. Sostanze che si potrebbero rivelare dannose per la salute umana», spiega Schettino. Il procedimento è apparentemente semplice. Si mette l’enzima in soluzione con una matrice ambientale, sia essa un campione prelevato dal mare o dal terreno agricolo e si studia il comportamento dell’anidrasi a contatto con le eventuali sostanze inquinanti.

«Dalle sperimentazioni effettuate nel corso di tre anni abbiamo constatato che questo tipo di enzima viene inibito dalla presenza di inquinanti - spiega Schettino - abbiamo notato poi che il suo livello di inibizione è proporzionale alla concentrazione dell’inquinante: tanto più è alta ad esempio la presenza di diossina in soluzione, tanto più l’enzima perde la sua funzione, va in stand by, si inibisce».

Un test che ha essenzialmente tre vantaggi, spiegano dall’Università: è celere, economico ed efficace. Una volta messi in soluzione matrice ambientale ed enzima, il verdetto si può avere entro due, tre ore. L’anidrasi carbonica è poi in commercio ad un costo decisamente basso. «E l’attendibilità del test è altissima - incalza Schettino - abbiamo infatti comparato i risultati di un test tradizionale effettuato su un campione di sedimento prelevato nell’area portuale di Brindisi con i risultati ottenuti con il nostro nuovo bio-marker. Ebbene: erano identici».

Diverse aziende che si occupano di monitoraggio ambientale si sono già dette interessate al brevetto dell’Ateneo salentino. Ma a farsi avanti è stata anche la Regione Puglia che attraverso l’assessorato all’Agricoltura sta valutando la possibilità di inserire il test con il nuovo bio-marker made in Lecce nei disciplinari che certificano la qualità delle produzioni agricole.
«L’anidrasi carbonica è un’enzima fondamentale anche per la fisiologia umana. Gioca un ruolo importante nel trasporto dell’ossigeno, nelle funzioni renali - spiega Schettino - il fatto che venga inibito quando entra in contatto con sostanze inquinanti come gli idocarburi policiclici aromatici, la diossina ed altri metalli è un campanello d’allarme anche per la salute umana».

Il nuovo metodo per la valutazione dell’inquinamento ambientale ha poi un vantaggio che potrebbe conquistare tutti gli animalisti: salva infatti la pelle a cavie, ricci marini e a tutti gli altri organismi viventi attualmente utilizzati in laboratorio per le prove di tossicità e mortalità. «Non ci sarà più bisogno di fare i test sugli animali - insiste il fisiologo - dal momento che l’enzima è in grado di dimostrare gli effetti nocivi che un ambiente contaminato può avere sulla salute dell’uomo». Cavie e ricci ringraziano. Ma anche il mondo dell’agricoltura sembra molto interessato. «Con l’assessore regionale Enzo Russo abbiamo avviato la sperimentazione per valutare la salubrità dei terreni agricoli - spiega Schettino - il bio-marker potrebbe essere utilizzato dagli stessi produttori agricoli per dimostrare che il suolo su cui producono frutta e verdura è effettivamente sano e che dunque le produzioni possono fregiarsi del marchi di qualità rilasciato dalla Regione Puglia».

Un brevetto che sembra destinato a fare strada. «Le questioni ambientali sono sempre più al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, ed anche l’attenzione per l’alimentazione, le richieste di cibi genuini e sani stanno crescendo. Però purtroppo i produttori fanno spesso abuso di pesticidi ed anticrittogamici. Il nostro enzima può subito smascherare la presenza di veleni nel terreno e diventare così il paladino dei consumatori». Nei laboratori di tecnologie biologiche ed ambientali il team di Schettino continua a lavorare per perfezionare ulteriormente il test ed ampliare la gamma di matrici che si possono utilizzare.

«Contiamo di renderlo perfettamente idoneo per un pre-screening del terreno e dunque stiamo valutando il metodo più efficace per trasformare in soluzione acquosa qualsiasi tipo di matrice solida», dicono i ricercatori. L’entusiasmo e la voglia di lavorare non mancano. «Il nostro è un esempio di ricerca che si può trasferire virtuosamente all’industria - conclude Schettino - un esempio di sinergia tra accademia, aziende ed istituzioni».

Fonte: lagazzettadelmezzogiorno.it
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