15-02-12Diversi studi osservazionali hanno collegato alti livelli di inquinamento a un battito cardiaco accelerato e a una diminuita variabilità del battitoMilano, 15 feb. (Adnkronos Salute) -
Bastano 7 giorni di smog per colpire e affondare il cuore. Fino a 7 giorni: un'esposizione di breve durata a tutti i principali inquinanti che avvelenano l'aria, a eccezione dell'ozono. Secondo gli scienziati questo 'areosol forzato' è significativamente associato a un aumentato rischio di infarto. E' quanto emerge da una revisione e una metanalisi di studi precedenti pubblicata sulla rivista 'Jama'.
A fare il punto su un sospetto che da oltre 50 anni impegna gli studiosi - l'effetto potenzialmente nocivo per la salute di episodi di intenso inquinamento atmosferico - è un gruppo di ricercatori dell'università Paris Descartes. "Nei Paesi industrializzati le malattie cardiovascolari sono la principale causa di mortalità e sono associate a una significativa morbidità - spiegano gli autori della revisione e della metanalisi - Tutti questi Paesi hanno livelli di inquinamento elevati e fin dagli anni '90 molti studi epidemiologici hanno dimostrato l'esistenza di legami fra i livelli di smog e la salute umana, misurando i ricoveri ospedalieri e la mortalità complessiva, compresa quella respiratoria e cardiovascolare. Tuttavia l'associazione fra inquinamento atmosferico e rischio a breve termine di infarto del miocardio rimane controversa". Alcuni studi, riepilogano gli scienziati, "hanno mostrato un legame, altri non hanno trovato associazione o l'hanno trovata in riferimento solo ad alcuni specifici inquinanti".
Hazrije Mustafic, dell'università Paris Descartes, e i suoi colleghi hanno condotto una revisione sistematica e una metanalisi per esaminare proprio l'associazione fra una breve esposizione ai 'veleni' presenti nell'aria e il rischio di attacco di cuore, tentando di quantificarla.
I più importanti inquinanti presi in considerazione sono stati l'ozono, il monossido di carbonio, il biossido di azoto, il biossido di zolfo e le Pm10 e Pm2.5. Gli scienziati hanno fatto una ricerca nell'insieme della letteratura medica sull'argomento e hanno identificato 34 studi da includere nell'analisi. Studi che segnalano associazioni significative da un punto di vista statistico fra gli inquinanti in questione, eccetto l'ozono, e il rischio di infarto.
Gli autori suggeriscono anche un certo numero di meccanismi che potrebbero spiegare questo collegamento: "Il primo è l'infiammazione. Gli studi analizzati hanno mostrato che i livelli dei marker dell'infiammazione come la proteina C-reattiva risultano più alti a seguito di un'esposizione allo smog. Il secondo potenziale meccanismo è la regolazione anomala del sistema cardiaco autonomo.
Diversi studi osservazionali hanno collegato alti livelli di inquinamento a un battito cardiaco accelerato e a una diminuita variabilità del battito. Il terzo meccanismo sotto la lente è un aumento della viscosità del sangue dovuto all'inquinamento. Un fattore che potrebbe portare alla formazione di trombi, accelerare la progressione dell'aterosclerosi e attenuare la stabilità delle placche aterosclerotiche".
I ricercatori precisano che l'entità delle associazioni scoperte in questi studi è relativamente piccola se comparata ai classici fattori di rischio per l'infarto, come il fumo, l'ipertensione o il diabete. Ma gli esperti non nascondono neanche che "la quota di responsabilità attribuibile a ciascun inquinante non è trascurabile perché la maggior parte della popolazione, incluso giovani e disabili, è esposta allo smog, in particolare nelle città, e il miglioramento della qualità dell'aria potrebbe avere un impatto non da poco sulla salute pubblica", concludono gli esperti sottolineando che sono necessarie ulteriori ricerche per capire quali interventi e politiche hanno un reale effetto sulla diminuzione dell'incidenza dell'infarto miocardico.
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