29 dicembre 2007
Diossina nel latte a Brescia , Sarcomi a Mantova ....e a Forlì?
La notizia che a Brescia - polo industriale di rilievo e città che " vanta" il più grande inceneritore d’ Europa - il latte di alcuni allevamenti eccede le quantità ammesse in diossine e pcb e che a Mantova il pool di esperti che da anni indaga sulla presenza di diossine reputa credibile l’ associazione di queste sostanze con l’ eccesso di sarcomi che si è registrato in quel territorio, non può lasciarci indifferenti.
Ci chiediamo cosa altro debba capitare affinchè qualcuno fra i "decisori" politici cominci ad ascoltarci . Stiamo avvelenando il mondo e noi stessi e continuiamo a percorrere strade assurde come quella di bruciare i "materiali post-consumo" (altro che rifuti!) quando esistono alternative e soluzioni (porta a porta per cominciare....) che potrebbero fare convivere il giusto profitto con il rispetto per l’ ambiente, l’ aumento della occupazione, la concordia sociale. Siamo a Natale ed è lecito esprimere un desiderio... ecco, questo è il mio desiderio: con tutto il cuore vorrei che coloro che fino ad ora si sono mostrati così sordi, riottosi, caparbi, riuscissero a fermarsi anche solo per un attimo e ad ascoltare quello che in tanti - semplici cittadini, professionisti, medici - da tutte le parti e sempre più a gran voce andiamo dicendo e cioè che non è questa la strada da percorrere! Distruggere materia per produrre energia significa distruggere dei beni preziosi, inquinare l’ ambiente, mettere a rischio settori vitali per la nostra economia come l’ agroalimentare, ma soprattutto mettere a rischio la nostra salute. Quando abbiamo perso la salute noi o i nostri cari che altro ci resta ? Per che cosa dovremmo vivere se non per difendere proprio e prima di tutto la Vita stessa e la Salute? Sappiate che siamo in tanti, tanti, tantissimi ed ogni giorno di più, decisi a difendere questi Beni anche per per tutti quelli che ora sembrano solo interessati al grande businness, ma che un giorno, se ci ascolteranno, non mancheranno di ringraziarci. Buon Natale a tutti Patrizia Gentilini
SARCOMI A MANTOVA
verdetto è definitivo, e suona come una condanna. E’ la diossina, insieme ad un altro mix di sostanze inquinanti di origine industriale, ad aver causato i casi di sarcomi dei tessuti molli registrati nella popolazione mantovana residente a Frassino e a Virgiliana. A mettere la parola fine sulla vicenda dell’esposizione alla sostanza tossica e cancerogena prodotta fino agli anni Novanta dall’inceneritore del petrolchimico, è ilpool di esperti che ha lavorato alla stesura del Consensus Report. A distanza di un anno dalla presentazione dei risultati dell’indagine sulla diossina nel sangue dei mantovani, i ricercatori (dell’Asl di Mantova, dell’Univeristà di Milano, dell’Istituto superiore di Sanità e dell’Istituto tumori di Milano) hanno trovato una posizione condivisa, un ‘minimo comun denominatore’. Eccole, allora, le conclusioni dello studio. La posizione unitaria del pool di esperti parte dalla premessa che registra una differenza statisticamente significativa tra le concentrazioni di diossina nel sangue dei residenti nella zona industriale e del centro storico. Non solo. La concentrazione aumenta più ci si avvicina alla fonte inquinante, l’inceneritore ex Montedison, con una sorta di ‘doppio gradino’, dal centro a Frassino e da Frassino a Virgiliana. La task force che ha lavorato al report stima anche la concentrazione di inizio anni Novanta, maggiore rispetto al 2005, di circa un terzo a Virgiliana (84 ppt rispetto ai 55 attuali). L’altra risposta definitiva contenuta nel rapporto riguarda il confronto tra i valori registrati nel campione mantovano e il panorama nazionale e internazionale. «La media mantovana si colloca in posizione medio alta, quella di Virgiliana è più alta ma si colloca all’interno dello stesso ordine di grandezza, senza valori fuori scala». E il nesso di causa tra diossine e sarcomi? Il documento usa la definizione di ‘credibile’ per affermare che non ci sono più dubbi sul fatto che a causare quei tumori nella popolazione della zona industriale sia stata l’esposizione prolungata alla sostanza tossica e cancerogena. O meglio, ad un mix di inquinanti, miscele complesse di varie sostanze chimiche, di chiara origine industriale. La diossina, insomma, ma non solo. Questo spiega, secondo gli esperti, perché la differenza di concentrazione di diossina tra i residenti in centro storico e all’ombra dell’inceneritore non è così alta come la differenza di rischio di ammalarsi di sarcoma, 30 volte in più in zona industriale rispetto al centro. Un’anomalia che non trova riscontri nè a Seveso né a Brescia. Gli esperti chiariscono poi che, essendo le cause di rischio ormai storicamente confinate (ad inizio anni Novanta), non c’è nessuna emergenza sanitaria, anche se chiedono ai medici di famiglia una maggior attenzione a quei pazienti che hanno vissuto a lungo nella zona industriale di Mantova nel periodo critico per l’attività del petrolchimico, tra il 1960 e il 1990. E proprio Gloria Costani, il medico di base che nel 1998 aveva segnalato per prima l’elevato numero di casi di sarcoma in zona industriale, ieri ha lanciato un nuovo allarme. «Tra parenti e vicini di casa dei pazienti malati di sarcoma si stanno verificando molti casi di neoplasie e di malattie autoimmuni. Non so se ci sia un legame con le sostanze inquinanti, ma bisogna tenere gli occhi aperti».
DIOSSINE NEL LATTE A BRESCIA.
La parola d’ordine è, come al solito in questi casi, quella di minimizzare, tranquillizzare e gettare acqua sul fuoco. Le autorità non vogliono che i cittadini di Brescia si spaventino e smettano di comprare frutta, verdura e latte dalle aziende agricole che circondano il centro urbano. Non vogliono neppure che smettano di acquistare fiduciosi i prodotti della Centrale del latte, azienda controllata dal municipio che, dopo alcune costose scelte di marketing degli anni passati (la linea di negozi, l’impianto per il latte microfiltrato, eccetera), non può certo permettersi di perdere il feeling con i consumatori della città in cui gioca in casa.
Ma guardiamo i dati ufficiali che filtrano dalla comprensibile cortina di riserbo che copre in parte questa vicenda.
Tre aziende agricole, tra cui la mitica Pastori di viale Bornata (le altre due sono a Flero e al villaggio Violino), si sono viste respingere il latte dalla Centrale per eccesso di diossine e dal 7 dicembre (visto che le incolpevoli 150 vacche coinvolte vanno comunque munte ogni giorno) portano il prezioso liquido alla distruzione (leggi la notizia). Altre sette aziende agricole dell’hinterland Sud tra San Zeno e Roncadelle sono sotto stretta osservazione, perché nel loro latte s’è trovata diossina, anche se non in quantità vietate dalla legge.
Ringraziamo la legge, che ci permette di bere un po’ di diossina con il latte e di mangiarla con gli ortaggi, le carni e il pesce, ma non troppa. Un po’ di veleno va bene, ma a patto di non esagerare.
Il limite alla presenza di pcb e diossine nel latte è fissato in 6 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) per millilitro, mentre quello trovato nel prodotto sequestrato era tra i 6,2 e i 6,5 picogrammi per millilitro.
Intanto, altro dato ufficiale, della vicenda è stata informata la Procura della Repubblica di Brescia, e l’Asl sta compiendo analisi anche sullo yogurt e il mascarpone prodotti con il latte della Centrale cittadina. Si aspetta giovedì, quando dall’Istituto zooprofilattico arriveranno i risultati di analisi più approfondite.
Ma c’è davvero bisogno di aspettare giovedì per sapere quello che è sotto gli occhi di tutti? La diossina si forma in ogni combustione in cui è presente anche cloro (per esempio bruciare la plastica, fondere metalli con vernici e così via) ed è una sostanza molto stabile: ci vogliono decine di anni perchè scompaia dai terreni contaminati. Nel tessuto adiposo della gente, poi, rimane per sempre. Dalle ciminiere passa al terreno, da qui all’erba, dal foraggio al grasso delle mucche e al loro latte, dagli animali arriva all’uomo.
La sua caratteristica peggiore è che ad ogni passaggio della catena alimentare si concentra sempre di più. La diossina, riconosciuta come elemento cancerogeno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro, è quindi intorno e dentro di noi. Perfino, come è provato, nel latte materno.
Guardiamoci attorno, lasciando pure perdere l’area a sud della Caffaro dove il Pcb scorre letteralmente a fiumi, e contiamo le decine di ciminiere che circondano Brescia. Dispiace per gli incolpevoli allevatori dell’hinterland, dispiace per i bilanci della Centrale del latte, ma non c’è bisogno di aspettare altre analisi per capire che evidentemente esiste un enorme problema di qualità dell’approvvigionamento, dovuto alla degenerazione dell’ambiente della nostra città assediata dai veleni.
Che cosa fare allora? Poco, ma qualcosa è possibile: prima di tutto aumentare i controlli. Essendo Brescia evidentemente una zona a rischio, siamo in piena emergenza ambientale. L’Arpa, l’azienda regionale alla quale sono demandate le verifiche, dovrebbe incrementare il numero delle centraline di monitoraggio ed effettuare controlli a sorpresa. Stesso discorso per gli alimenti da parte dell’Asl.
E poi bisogna usare tutti gli strumenti previsti dalla legge per reprimere e colpire gli inquinatori. Anche quando sono in gioco i posti di lavoro, perché la salute pubblica deve venire prima di tutto.
(di Patrizia Gentilini)
Fonte: agoramagazine.it