Autore Topic: L’abito che ci inquina  (Letto 10328 volte)

cristiana

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L’abito che ci inquina
« il: Agosto 16, 2010, 12:34:19 »
Una ricerca presentata in questi giorni a Bruxelles dall’Italian Textile Fashion rivela un dato allarmante: il 10% dei capi d’abbigliamento venduti in Europa contiene sostanze cancerogene proibite dalle direttive europee.

Oltre la metà dei capi venduti nei negozi europei non rispettano le prescrizioni di legge relative alla composizione fibrosa del tessuto, ma quel che è peggio ben il 9,5% degli indumenti venduti contiene addirittura ammine aromatiche, sostanze nocive proibite dalle Direttive Comunitarie poiché possono provocare disturbi che vanno dalle dermatiti a possibili effetti cancerogeni. È questo il desolante quadro che emerge dall'indagine promossa da ITF Italian Textile Fashion, l'organismo delle Camere di Commercio italiane per la moda, e realizzata in cinque grandi città europee: Amsterdam, Barcellona, Francoforte, Parigi, Stoccolma. Francoforte e Barcellona guidano la classifica dei mercati in cui si commercializzano prodotti che non rispettano i requisiti ecologici: nella città spagnola il 21,4% delle merci contiene inoltre ammine cancerogene e in quella tedesca il 40% contiene coloranti allergenici. L’indagine europea fa seguito ad altre ricerche dello stesso tipo che sono state svolte in Italia (Varese e a Como), dove si sono riscontrati risultati analoghi. Il settimanale Salvagente (n39/40 del 12 ottobre) riporta per esempio i dati dell’indagine condotta dal Centro tessile di Como: su 105 capi testati il 19% è risultato contaminato con ammine cancerogene e si tratta in prevalenza di capi importati dai paesi extra-cee (l’80% di quelli importati è inquinato) dove molte delle aziende tessili italiane hanno delocalizzato le proprie produzioni. Il punto è che in quei paesi manca tutta una serie di norme sia per la sicurezza dei lavoratori sia dei consumatori perché si consente di utilizzare sostanze che in Europa sono state messe al bando. Teoricamente le ditte che “sub-appaltanto” le produzioni fuori dai confini europei dovrebbero controllare che i capi d’abbigliamento vengano realizzati senza l’uso di sostanze tossiche, ma stando ai risultati dell’indagine non sembrerebbe proprio. Di qui la richiesta dell’Italian Textile Fashion di far diventare obbligatoria l’indicazione d’origine “made in” per i capi d’abbigliamento importati in Europa, richiesta però a cui si oppongono le grandi catene di distribuzione.

Per approfondimenti: il sito dell'Italian Textile Fashion

Alessandra Mariotti
2/11/2006


Fonte: buonpernoi.it
Cristiana

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