Gli interferenti endocrini, presenti nel mare, ma anche nelle gomme per giochi. Convegno e studi di Oliana Carnevali *Morbidi giocattoli per i neonati in PVC resi ancor più flessibili dall'aggiunta di ftalati (DEHP); fragranti trance di pesce che nascondono dosi sconosciute di mercurio o PCB; vernici antigraffio e colle ricche di bisfenolo A: sostanze inquinanti, ormai conosciute, in grado di interferire con il sistema endocrino, alterando lo sviluppo embrionale e la funzionalità del sistema riproduttivo. Queste sostanze, indicate con il nome di interferenti endocrini (ED), entrano nella filiera alimentare e raggiungono l'uomo causando numerosi problemi di salute e di infertilità.
Una pericolosità riconosciuta dalla legislazione comunitaria e ampiamente descritta dall'ecotossicologia riproduttiva. Tra gli ED è da sottolineare la tossicità degli ftalati (Dehp) recentemente banditi dalla Comunità Europea nei giocattoli e limitati nell'uso in campo alimentare dalle autorità Usa.
Dati preliminari, ottenuti in laboratorio dal nostro gruppo, sottolineano la drammatica diminuzione della fecondità e del numero di embrioni in organismi acquatici esposti agli ftalati. In collaborazione con Michael Baker, dell'Università di San Diego, pioniere dell'ecotossicologia riproduttiva, e con Gary Hardiman, direttore della Biogen microarray facilties sono attualmente in progress esperimenti per l'identificazione di biomarkers molecolari per lo screening e la valutazione dei contaminanti ambientali, ciò consentirà di passare dai banconi di laboratorio all'uso in campo di queste molecole per la valutazione del rischio ambientale.
Nel recente congresso dell'Istituto Nazionale di Biostrutture e Biosistemi (
www.inbb.it), a Roma, è stata evidenziata la possibilità di individuare inquinanti ambientali mediante lo studio dalla modulazione dei bioindicatori molecolari.
Da qualche anno i tradizionali bioindicatori ambientali sono affiancati da una serie di biomarkers identificati attraverso la caratterizzazione di meccanismi molecolari indotti dai principali contaminanti ambientali. A tale riguardo sono state di grande aiuto le tecniche biomolecolari (real time Pcr, Dna microarray), attraverso le quali sono state individuate molecole la cui concentrazione varia in relazione alla presenza dell'inquinante.
Recentemente, i biomarkers hanno acquisito un'importanza rilevante come validi strumenti di indagine nel monitoraggio ambientale. Tra essi troviamo la vitellogenina, una proteina legata alla riproduzione dei vertebrati ovipari e utilizzata come indicatore della presenza di estrogeni ambientali (fitoestrogeni, Pcb, Np, Op...).
La potenzialità applicativa dei biomarkers molecolari è stata accolta positivamente dalle principali organizzazioni internazionali, (come l'Epa). Diventa, però, sempre più urgente individuare protocolli standardizzati che rendano comparabili i dati ottenuti nei diversi laboratori. A tale fine lavora il consorzio universitario Inbb.
* Dep. of Marine Sciences,Un. Politecnica Marche, Anconafonte:
La Repubblica